Ci spostiamo in Inghilterra e parliamo di un gruppo incredibile. Un gruppo che, nonostante si sia formato nel 1976 (l' anno in cui il punk emetteva i primi mugolii), ha sempre fatto del post-punk, o meglio faceva del punk britannico fra i più inusuali e moderni. A piccoli sprazzi, nell’arco di un minuto o due, gli Wire compongono un tipo di brano deviante, che trascende dalla furente immediatezza punk, e nasconde sempre un lato oscuro, non istantaneamente decifrabile; è come se la necessità di rivolta e emancipazione, adesso si trasformi in maggior desiderio di intimismo, senza che ciò cancelli del tutto le tematiche sonore della generazione del ’77 inglese. Un intimismo comunque, che non si rivela ancora in un incupimento dei suoni, ma viene espresso semmai dalla labirinticità del brano, che nonostante la sua corta durata stupisce per incoerenza, sorprende l’ascoltatore nel non concedergli mai ciò che si aspetterebbe, creando un senso di incapacità ad essere afferrato, un senso di disagio, che non scaturisce dalle atmosfere, come nel dark, ma viene evocato direttamente dall’impostazione strutturale del pezzo.L’incompiutezza è anch’essa una componente fondamentale dei primi Wire, e fa parte di quello stesso intento destabilizzante per cui niente arriva mai nel momento in cui te lo aspetti. Cosi ogni pezzo finisce laddove ti aspetteresti che abbia ancora molto da dire, ed è come se ogni volta la melodia portante, ridotta al minimo dell’espressione concedibile, sia fondamentalmente qualcosa di trascurabile, meno importante della distorsione formale a cui costantemente viene sottoposto il pezzo.
Il disco nello specifico è una sorta di Peel sessions, ovvero altri takes rispetto a quelli degli albums (i primi tre in questo caso) raccolti in un unica sessione.
320 Kbps
ECCOLO QUA
martedì 22 giugno 2010
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