sabato 1 maggio 2010

FOCUS - Hamburger conerto (Holland, 1974)

L' amico Lucio Mazzi, storico giornalista musicale nonchè eccelso musicista di Bologna, con il quale non sempre concordo nei gusti, ma che ascolto sempre con grande attenzione per la sua sconfinata cultura musicale, la vede così:

"Nella prima metà degli anni ’70, la dittatura anglosassone nel rock mostrava qualche crepa. È stato l’unico momento in cui i giovani del continente sentirono parlare di gruppi rock francesi (gli ANGE, in qualche modo i Gong), tedeschi (gli Amon Dull e la nutrita schiera dei “cosmici”: Tangerine Dream, Popol Vuh, Can, Ashra Temple…), italiani (PFM, Banco, Orme) e addirittura olandesi, come gli Ekseption e questi Focus. Non tutte queste band erano ascrivibili al progressive (genere all’epoca imperante), ma sicuramente i Focus sì. Cosa di cui abbiamo piena dimostrazione in questo “Hamburger Concerto” da molti ritenuto il capolavoro del gruppo nonostante non contenesse nessuna delle canzoni più famose della band (“Sylvia”, The house of the king”, “Hocus Pocus”, per dire)

Ora, va detto subito che ben pochi dei lavori del tempo (anche all’epoca osannati), ascoltati oggi reggono la prova del tempo. E forse non è il caso di questo. Da qui il dilemma: ascoltarlo con le orecchie di oggi o con quelle di 35 anni fa? Non sapendo scegliere, ecco come avrei parlato del disco alla sua uscita e come ne parlo oggi.





1

Mi piacciono i Focus, suonano “diverso”, non so come altrimenti esprimermi: conosco bene i loro brani più famosi (non solo quelli), e li trovo… diversi. Sì hanno un flauto come i Jethro Tull (o la nostra Premiata), hanno un grande chitarrista e un tastierista megalomane come tanti altri gruppi, ma è la fusione tra i loro suoni che regala sensazioni diverse. C’entra col fatto che siano olandesi e non inglesi? Non saprei: mi limito a prendere atto. Per questo mi sono procurato subito questo “Hamburger Concerto”, appena uscito. E francamente non ne sono rimasto deluso. Chiaro che gli ingredienti con cui cucinano Akkerman e Val Leer sono sempre quelli, ma mi sembra di cogliere nella band il tentativo di esplorare strade nuove… Ad esempio, una nuova attenzione verso certa musica antica in “Delitae musicae”, nel clavicembalo all’inizio di “Birth” o nel primo movimento del “Concerto”, ma poi il loro suono resta sempre inconfondibile.

Probabilmente manca un pezzo veramente vincente che possa proporsi come potenziale hit, ma la sensazione è che questo sia voluto: preferendo i Focus che l’ascoltatore concentri la propria attenzione su tutto il lavoro e non solo su un potenziale singolo da classifica. Bene, allora. Non si creda comunque che il gruppo abbia esaurito il proprio percorso artistico. Ne è dimostrazione la suite che dà il titolo all’album che se ovviamente non è all’altezza di un capolavoro assoluto come “Supper’s ready” dei Genesis, può proporsi come degna esponente del genere: 20 minuti in cui cambiano spesso climi e atmosfere e durante i quali si passa da una musica di stampo classico a influenze quasi spagnoleggianti a purissimo rock. Sempre con l’inconfondibile marchio Focus.





2

Brutta cosa invecchiare e il prog, nel 1975 era già vecchio: ora lo sappiamo, ormai aveva detto tutto e di lì a poco il punk ne avrebbe definitvamente spazzato via tutti i rimasugli. Nel 1975 anche le stelle più abbaglianti del firmamento prog iniziavano a perdere luce: in quell’anno usciva l’album inglese del Banco (“Banco”), quello americano della PFM (“Chocolate kings”), “Wish you were here” dei Floyd, “Minstrel in the gallery” dei Jethro Tull, “Usa” dei Kink Crimson, “Freehand” dei Gentle Giant, i Genesis perdevano anche Peter Gabriel, ELP stavano meditando di salutarsi. Non ci vuole un grande studioso di cose rock per capire che tutti questi gruppi il meglio l’avevano già dato.

I Focus pubblicavano questo “Concerto”, album caratterizzato dalla lunga title track (basata sulla prima variazione di Brahms su un tema di Haydn) che, in origine, occupava tutta la seconda facciata. Uno di quei ricorsi alla musica classica da parte del prog che raramente hanno funzionato, va detto.

Dobbiamo dirla tutta? Qua di idee ce ne sono poche, riesce addirittura arduo parlare di prog, dove per prog si intendano comunque costruzioni musicali complesse, mutuate dalle “forme” della musica colta. In realtà, invece, molti di questi brani si basano su un tema o due su cui la band improvvisa. Null’altro. “Harem scarem”, ad esempio: 6 minuti di assolo prolissi, alternati su due temi (uno fin troppo debitore di “It's about that time" da "In a silent way" di Miles Davis) e le ultime note che citano “Hocus Pocu”s. Tutto qui. E non è tanto: bastavano 3 minuti per uno “sforzo del genere”: 6 sono accademia.

Leggermente più elaborata la struttura di “La cathedrale de Strasbourg”, organo liturgico e pianoforte a creare l’atmosfera per un lentone che promette bene e si perde subito insistendo sui soliti due accordi. Lontano anche dal tipico suono Focus. Che invece si propone piuttosto bene in “Birth”, forse il brano più convincente dell’album, e ancora di più nella parte finale della prolissa suite che titola l’album. Qui, l’incedere incalzante di cori, chitarre e tastiere riescono a creare qualche emozione e a riproporre (finalmente!) in maniera evidentissima il tipico marchio di fabbrica Focus, nei suoni e nel dispiegarsi della melodia. Il salvataggio in extremis di un disco osannato alla sua uscita e poi, non a caso, dimenticato nei decenni. "

Probabilmente io ascolto ancora i Focus con le orecchie di 35 anni fa, quando avevo un anno di vita e lo faccio sempre volentieri.... magari accompagnato da un biberon pieno di Whisky.
Grazie infinte a Lucio per essersi addirittura sdoppiato per l' occasione e per aver rimesso sul piatto il polveroso vinile in questione 35 years later.

Il blog di Lucio Mazzi

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ECCOLO QUA

1 commento:

  1. c'è una "sorpresa" di là..
    non sapevo se citare il tuo blog o meno..dimmi tu.
    saluti

    ps: nomeansno visti ma senza invasives. grandi. as usual.

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