domenica 14 febbraio 2010

PICCHIO DAL POZZO - Picchio Dal Pozzo (San Martino di Liguria, 1976)


Picchio Dal Pozzo è un quartetto ligure fondato da Andrea Beccari, Aldo De Scalzi, Paolo Griguolo e Giorgio Karaghiosoff, immerso in contesti e motivi di quel prog italico surreale e impetuoso, spontaneo e sinistro. Ma Picchio è anche completamente affrancato da un particolare giro, è un progetto esemplare, autarchico, fortificato nel proprio linguaggio musicale.
“Alle quotidiane interminabili sessioni di prova, ognuno portava qualcosa da casa. Un giro di basso, un riff di chitarra, un distorsore autocostruito, piatti (per la batteria), biscotti (per il tè). Un giorno Karaghiosoff portò un enorme collage, realizzato sul retro di una locandina da cinema, su cui aveva composto una poesia ritagliando le parole da diverse riviste. Alcune pause di un ottavo davano indicazioni per la respirazione, e alla fine del testo compariva una figura misteriosa, vestita con un'armatura medievale e una piuma sull'elmo, in piedi presso un pozzo. Forse, andando oltre le intenzioni dell'autore stesso, tutti i presenti associarono quella figura a quel 'Picchio dal Pozzo', come fossero nome e cognome del nobile cavaliere".
L' influenza Zappiana è forte, ma c'é anche un po' di Gong e un pizzico di Canterbury nell' allora giovane quartetto che, coadiuvato da un valido stuolo di musicisti liguri presi in prestito da altri gruppi, sognò di perdersi sulla via di Canterbury, nel Kent, percorrendo un viaggio da mistici, "scalzi". Le coordinate geografiche di Picchio dal Pozzo, per quanto "immaginate", erano esatte e le piste, tracciate di proprio pugno a matita e pastelli, inventavano un’anima errante dalla natura fragile, candida, scanzonata.
Un tragitto per sentieri rurali, per castelli e campanili, per colli e tetti, per sponde mediterranee.
Qui la sua anima esausta ed ebbra si fermò e si perse per sempre.
Un delicato cullante motivo di chitarra acustica bissato dallo xilofono e da una voce emanata dal subconscio quasi “materica”, svela progressivamente nell’apertura di “Merta” una luce mattutina di chiarore inaudito. In tale carezza svolta la natura enigmatica e policroma di Picchio Dal Pozzo. Visioni turchine si levano da strumenti a fiato e corda, da sintetizzatori, da gorgheggi naufraghi surreali (brusii, gargarismi) e percussioni dirompenti.
Tutto questo effondono le tastiere e il corno su “Cocomelastico” e soprattutto sulla suite “Seppia”, picaresca epifania inenarrabile a parole, palpitante carnevalesco delirio canterburiano ora etereo ora impetuoso, fantasia apollinea e poi dionisiaca, raga traboccante vigore inventivo: come gli album di Hatfield & The North, è chiosa ideale di un intero"movimento. "... e l'upupa piano si svegliò si sentì il suo canto mentre il sole se ne andò, adagiato sul fiume, mentre nel buio lei s'involava nel freddo del Po".
E' uno strano, insolito, torbido miscuglio questo disco, sprofondato in un reame immaginario. Una fascinazione naturalistica, lenticolare, di note assimilate a colori; fiabe sussurrate e preziose fantasie melodiche restituiscono, liberata, l’autentica essenza della musica totale.

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